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Ignoto Marinaio – La Sposa dimenticata da una città dimenticata

Ignoto Marinaio

La Sposa dimenticata da una città dimenticata

Ho letto la “Sposa di Messina (ossia I Fratelli Nemici) la tragedia scritta da Friedrich Schiller, il grande drammaturgo tedesco, nel 1803. Non sono un intenditore, ma il testo rende molto il dramma, la lettura colpisce, coinvolge emotivamente. Ci sono voluti quasi due secoli perché l’opera venisse rappresentata in Italia: la prima fu messa in scena alle Orestiadi di Gibellina nel 1990, per la regia di Elio De Capitani. Nove anni dopo, nell’ambito di Taormina Arte, allora diretta da Giorgio Albertazzi – 17 anni fa – al Palazzo dei Congressi, da Gianpiero Cicciò, il bravo attore e regista messinese, noto in Italia e all’estero. A parte il titolo e l’impegno del regista, nulla lega l’opera alla Città dello Stretto. La tragedia curata da Cicciò fu rappresentata, qualche anno dopo, anche a Messina: per qualche giorno e solo alla Sala Laudamo. Stop. Ma che importanza può avere ? Certo, al “Vittorio Emanuele” – di cui leggo la frenetica attività, adesso che le rarefatte atmosfere culturali e accademiche hanno finalmente trovato ospitalità a Palazzo Zanca – hanno completa cognizione di cosa, molto pedestremente, uno scrivano popolaresco come me, cerca di “volgarizzare”. E lo stesso anche al Corelli: in Conservatorio sanno bene che il “romantico” Robert Schumann, scrisse per sola orchestra – la «Ouverture in do minore» – quella che doveva figurare come introduzione alla “Die Braut von Messina” per la quale il compositore – germanico pure lui – avrebbe voluto scrivere le intere musiche di scena: poi così non fu, ma la “Ouverture” venne pubblicata da sola a Bonn nel 1851, mezzo secolo dopo la tragedia di Schiller. Ma che importanza può avere anche questo ? E volete che freghi a qualcuno che, in forma di concerto, l’opera sia stata eseguita al XXI Festival Rossini in Wildbad – la cittadina termale della Foresta Nera in cui si tiene la manifestazione internazionale di opera lirica – nel luglio 2009: “La Sposa di Messina” venne scelta come omaggio a Schiller di cui si celebravano in quell’anno i 250 anni dalla nascita; in questo caso si trattava del melodramma in due atti di Jacopo Capianca, la cui composizione si deve al poco fortunato Nicola Vaccaj. Vi interessa la trama ? Eccola, più o meno. Donna Isabella, principessa di Messina, vedova, fa di tutto per riconciliare i due figli maschi, Emanuele e Cesare che si odiano per dissidi dinastici e rivalità in amore; desiderano la stessa giovane, Beatrice e Isabella li riappacifica, rivelando anche il suo segreto: ha una figlia, loro sorella, che fece credere morta poco dopo la nascita. Il fido Diego, su suo ordine nascose la piccola in un convento, in cui dovette crescere in segreto fino a quando Isabella non la fa prendere, ormai adulta, a sugello della riconciliazione dei fratelli. Isabella non sa che i due, ignari della parentela, avevano già incontrato – l’uno a insaputa dell’altro – la sorella Beatrice, innamorandosi di lei: Emanuele fu ricambiato, l’altro respinto dalla ragazza; pazzo di gelosia Cesare uccide il fratello. Poi, saputo che Beatrice è sua sorella, si uccide sotto gli occhi dell’infelice madre.
Perché mai Schiller – che era comunque contemporaneo di Goethe e di cui era buon amico – scelse Messina per ambientare la sua tragedia ? Perché la città – parve al drammaturgo tedesco – era luogo di convivenza di tre fedi,
dei Greci, dei Mori e di Cristo: ” il luogo del1’ azione è Messina , dove queste tre religioni , parte ancor vive , e parte ricordate da monumenti continuavano ad avere influenza , e parlavano ai sensi. Appresso io tengo che sia un diritto della poesia di trattare le differenti religioni siccome un tutto collettivo per 1’ immaginazione , in cui trova suo sotto il velame di tutte le religioni in generale sta la religione in sé medesima , cioè 1′ idea di una Divinità”, spiegò l’Autore. Ma guarda che omaggio a questa “babba” città: alla sua cultura di tolleranza, alla sua gente, alla sua storia. Per la scenografia della “Sposa di Messina” a Gibellina lo scultore Mimmo Paladino creò La Montagna di Sale: maestosa architettura, con un diametro di circa 30 metri e un’altezza di 20, ricoperta di uno spesso strato di sale. L’opera è stata esposta a Napoli in piazza Plebiscito e a Milano in piazza Duomo, al tempo della sindaca Letizia Moratti. Non so se è possibile ancora, magari sarebbe un’idea portarla in città. E poi: visto come i tedeschi hanno messo su un festival internazionale di musica lirica in una piccola città, utilizzando il fatto che Gioachino
Rossini vi soggiornò per le cure termali ? Un frammento di memoria catturato a fini musicali, culturali, turistici. E noi ? Da Messina storia e arte passano, ma la memoria non li trattiene. Colpa della politica ? Non saprei: non ho percezioni di vita da assessorati alla Cultura e al Turismo (sono stati aboliti ?); che fanno i Tibetani ? Non dovevano portare il Progresso ? Non erano gli uomini e le donne dei nuovi Lumi ?
“A quest’orfana terra un re tu devi”, scriveva Schiller. La città ancora  aspetta.

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