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L’ Ignoto Marinaio – ACCORINTI VOLA A ROMA E FESTEGGIA DARIO FO. E IO PAGO. PURE IL CAFFÈ CHE È DESTINATO A RESTARE FAMOSO.

L’ Ignoto Marinaio

ACCORINTI VOLA A ROMA E FESTEGGIA DARIO FO. E IO PAGO. PURE IL CAFFÈ CHE È DESTINATO A RESTARE FAMOSO. 

Dopo il festival, la festa. Dalle stelle del cinema, al Nobel. Ci ha preso gusto. Per la rassegna di Venezia, il sindaco ci ha messo una pezza a colori “francescana”: ha precisato di non avere speso 3 mila euro ma molto meno. E, purtuttavia, col metro dell'”Accorinti di prima”, sempre spese inutili sono quelle fatte dall’ “Accorinti di dopo”. Col sospetto che abbia “ridotto” l’impegno di spesa, dopo che sulla stampa era scoppiata la grana della gita al Lido. Adesso, Pippo Trischitta, oppositore sui generis ma col pallino della coerenza, ha steso in piazza altri panni del primo cittadino viaggiatore: la “missione” a Roma per partecipare alla festa di compleanno di Dario Fo, da sempre nume tutelare della cultura di sinistra, oggi simpatizzante del collega Beppe Grillo. Qualche anno fa, quando i segni dell’età e del lungo peregrinare per i procellosi mari della politica erano meno evidenti sulla faccia del vostro Ignoto, agitato da giovanili passioni, mi sarei infilato in una polemica senza fine sul personaggio Fo: avrei detto – mi conosco – Nobel imparagonabile ai Nobel (ci pensate? A Carducci, Quasimodo, Pirandello, Montale, Deledda: suvvia!). Avrei aggiunto: ascoltate la motivazione del Nobel per la letteratura conferito 9 anni fa a Dario Fo, ascoltate:”Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. E, allora, avrei raccontato che Fo – che nel dopoguerra si è fatto passare per fiero antifascista e dileggiatore del potere – in realtà si arruolò come volontario, prima nel battaglione Azzurro di Tradate (contraerea) e poi tra i paracadutisti del battaglione Mazzarini della Repubblica sociale italiana, la “famigerata” Repubblica di Salò. Con Mussolini. Fino alla (quasi) fine. Poi si trasformò in partigiano. Disse che lui “faceva” il fascista, ma era antifascista. A differenza del suo amico Albertazzi che non rinnegò mai il suo passato.  La signora Ercolina Milanesi, lo ricorda Dario Fo: “tronfio come un gallo per la divisa che portava e ci tacciò di pavidi per non esserci arruolati come lui. L’avremmo fatto, ma avevamo quindici anni…”. E per farla breve, il 7 marzo 1980, un tribunale della Repubblica, a Varese, in una causa per diffamazione intentata da Fo, emise la sentenza: “è perfettamente legittimo definire Dario Fo repubblichino e rastrellatore di partigiani». Sentenza passata in giudicato. Causa persa. Questo avrei detto, “da giovane”, quando “vivevo tutti i giorni che il cuore suggeriva” (Aznavour). Oggi no. Non più. Per questo, torno ad Accorinti. Che, dopo la denuncia di Trischitta – naïf quanto volete ma preciso e documentato – ha perso la testa, giungendo a sventolare le spese di missione dei suoi predecessori, Peppino e Francantonio. Ineleganza giacobina. Maramalda. Somma a parte, resta il fatto che per partecipare a Roma, non a una riunione per risolvere il problema del bilancio sottosopra o della spazzatura che esce dagli occhi e dalle orecchie alla città, ma alla festa dei 90 anni di Dario Fo, il sindaco ha speso – leggo –  poco meno di 500 euro. Fosse stata una missione per affrontare problemi seri, che so, a Palazzo Chigi, in un ministero, o alla Cassa Depositi e Prestiti, perché no? Anche di più. Ma dire: Fo “ha chiamato chiaramente persone vicine a lui, sono andato per mantenere rapporti”. Vacci, perché no. Festeggia. Ma ci vai di tasca tua, festeggi con i soldi tuoi, non del Comune, cioè di tutti. L'”Accorinti di prima”, il “rivoluzionario bassotto” ( nel senso “dal basso”, so che lo avete capito), questo obietterebbe al Renato di dopo, il quale se ne va in giro a festeggiare, mentre la città brucia. Di problemi irrisolti e di protesta sociale. E poi, sapete, nella vita, come anche nella politica, lo stile è tutto. O quasi. L’ Estetica – filosoficamente parlando – illumina. Se volete proprio saperlo, a me ciò che spara in testa, non è la missione in sè. E, in fondo, neppure la somma utilizzata, anche se è un obiettivo spreco. 1 euro: questo è ciò che mi deraglia mentalmente, offende la mia sensibilità, punge la mia nota permalosità. Gli scontrini da 1 euro: il caffè. Il caffè che Accorinti si è sorbito durante la missione. Anche il caffè, si fa pagare dai cittadini. Neppure per quello ha messo mano in tasca, Renato il rivoluzionario, con più di 7.000 euro al mese di indennità di carica. 1 euro. Il caffè. Sarà un caffè famoso. È destinato a diventare storico. Come il caffè di Gaspare Pisciotta. O quello di Michele Sindona. O, non so se mi spiego, come il Caffè delle Giubbe Rosse a Firenze, dove s’incontravano Boccioni, Marinetti, Papini, Prezzolini, Gadda, Luzi, Montale. Lo so che era un’altra cosa, ma io sono sempre portato a pensare “altro” e “altrimenti”. Mi spingo a credere lo abbia fatto perché un giorno si faccia di lui una biografia ideologica, come Pablo Echaurren fece di Marinetti, con Caffeina d’Europa. A fumetti, come si addice a un fumetto. Vanesio com’è, si crederà la Caffeina d’Italia, o almeno della Sicilia. Un futurista tardivo. Oh, babbi: se non avesse portato quegli scontrini, chi avrebbe parlato mai dei suoi caffè. Che ora sono già scolpiti negli annali di Palazzo Zanca. Nella piccola storia di un piccolo piccolo narciso. Da archiviare. Pensateci voi. Che potete.

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