L’Ignoto Marinaio – RICHARD WAGNER A E MESSINA: SFIORÒ L’AMICO-NEMICO NIETZSCHE, DIFESE CON LUI “LA SPOSA” DI SCHILLER, MA NULLA LO RICORDA. POVERA CITTÀ SENZA MEMORIA (APPUNTO PER IL SUCCESSORE DI ACCORINTI)

L’Ignoto Marinaio
RICHARD WAGNER A E MESSINA: SFIORÒ L’AMICO-NEMICO NIETZSCHE, DIFESE CON LUI “LA SPOSA” DI SCHILLER, MA NULLA LO RICORDA. POVERA CITTÀ SENZA MEMORIA (APPUNTO PER IL SUCCESSORE DI ACCORINTI)
Richard Wagner amò molto la Sicilia. E ci ha lasciato alcune tracce per farcene comprendere le ragioni. Significative, per nulla occasionali. Il grande compositore, trascorse nell’Isola ben cinque mesi. Sbarcato il 5 novembre 1881 al porto di Palermo, a bordo della nave “Simeto”, con la moglie Cosima Liszt, i figli e i domestici, andò a vivere al Grand Hotel delle Palme, per trasferirsi poi in una villa messa a disposizione da nobili locali. Qui, il 13 gennaio dell’anno dopo, completò la sua ultima opera, il “Parsifal” che andò in scena per la prima volta il 26 luglio presso il suo Teatro Bayreuth, in Germania dove viveva. Si dovrà attendere invece il Capodanno del 1914, perché l’opera venisse rappresentata in Italia, al Teatro comunale di Bologna. Nel capoluogo siciliano posò, con qualche impazienza, per Renoir che si trovava in città: il ritratto è conservato al Musée d’Orsay di Parigi. Ricordiamo pure che Blandine Won Bulow, una delle figlie di Cosima nata dal primo matrimonio, sposò un siciliano, il conte Biagio Gravina, di Ramacca. A Palermo Wagner è ricordato con un busto in bronzo e una lapide presso l’Hotel delle Palme che lo ospitò. Periodicamente la città organizza manifestazioni wagneriane per ricordarlo.
Rientrando da Palermo, Richard arrivò, con tutto il seguito, a Messina, martedi 11 aprile 1882. Qui si trattenne presso l’albergo Vittoria, fino al 13 aprile, in attesa di imbarcarsi per Napoli. La Gazzetta di Messina annunciò l’arrivo dell’illustre ospite che non passò inosservato. Il quale – pare – trascorse questi giorni che passeggiando per la città, mentre Cosima e le figlie ne approfittarono per andare a vedere il Polittico di San Gregorio (1473), opera di Antonello da Messina, presso l’omonimo convento andato poi distrutto col terremoto del 1908; il dipinto, pur parzialmente danneggiato, è conservato al Museo regionale. Il Polittico nella parte inferiore, principale, mostra al centro la Madonna del Rosario in trono, con a sinistra San Gregorio Magno e a destra da San Benedetto; nel registro superiore si possono ammirare un Angelo annunciante e la Vergine annunciata, mentre è andato perduto il pannello centrale, forse un Cristo in pietà sostenuto da angeli o una Deposizione. Cosima, che era non solo la consorte di Richard, ma pur sempre la figlia di un grande pianista, aveva uno spiccato gusto artistico e faceva salotto con uomini e donne di cultura nella sua casa di Bayreuth: probabilmente non si fece sfuggire l’occasione di contemplare vis a vis la tela di Antonello.
Purtroppo non c’è, al solito, nulla che ricordi a Messina il soggiorno di Richard Wagner. Neppure un’iscrizione, una lapide un busto. I Grandi non interessano all’attuale “città politica”, neppure ai più acculturati tra i guardiani della galassia accorintiana. E nemmeno all’assessore alla Cultura e Identità: che identità vuole ricostruire ignorando la storia della città che è fatta anche dalle grandi figure europee che la visitarono ? Siamo al come – forse anche peggio – di “quelli di prima”. Lo scrivo non perché mi aspetti un ravvedimento operoso nell’ultimo anno da parte di Accorinti. Ma per l’amministrazione che verrà, spero, dopo questa disastrosa esperienza tibetana. Dopo l’impostura rivoluzionaria dello Scalzo. Che sta lasciando scalzi pure i messinesi, a dispetto del rinnovamento annunciato, mai realizzato. Non pervenuto. Si dirà: ma per soli tre giorni, vale la pena ricordare Wagner a Messina? Sì, vale la pena; anche se fosse stato per poche ore. E non per l’ovvio ragionamento qualità-quantità. E neanche perché sopra un’orma del genere gente con grande capacità di management territoriale e con retroterra storico minore – penso agli americani – vi avrebbe costruito un “permanente”: un festival, una rassegna, una settimana musicale, una sezione museale virtuale. Messina ha il Conservatorio, oltre che un Teatro. Dove, nel 1891, peraltro andò in scena la prima siciliana del “Lohengrin”.
Il “Corelli” non è una risorsa da mettere in campo? Il “Vittorio? No. Nulla. Ma, oltre queste notazioni di buon senso, c’è un legame più profondo, direi metafisico, tra Wagner e la città di Messina. Mi permetto così di lanciare alcuni appunti volanti agli auspicati successori degli attuali amministratori. Il primo è questo.
Wagner fu a Messina negli stessi giorni in cui in città dimorava un ospite inatteso, il suo “nemico”, già grande amico di un tempo: Friedrich Nietzsche. I due non s’incontrarono. Non sappiamo neppure se l’uno sapesse dell’altro. E sono giunto alla convinzione, che non sia vero – come si è romanzato – che Nietzsche fosse venuto a Messina perché sapesse della presenza del compositore. Sarebbe stato difficile per il filosofo conoscere anzitempo la data del rientro di Wagner da Palermo e i giorni nei quali sarebbe arrivato nella Cittá dello Stretto. Nietzsche – che fu a Messina dal 31 marzo al 20 aprile – aveva programmato il suo viaggio ai primi di marzo e pensava di fermarsi almeno per l’estate. Poi, partì all’improvviso per lo scirocco che non sopportava e soprattutto perché cedette alle insistenze dell’amico Paul Rèe – disistimato da Wagner – che lo attendeva a Roma per presentargli Lou Salomè, la ragazza che forse fu l’unica donna che Nietzsche amò. Follemente. Platonicamente. Quindi l’autore degli “Idilli di Messina” aveva scelto la città, per ragioni che prescindevano da Wagner. Eppure i due si trovavano negli stessi giorni e nello stesso luogo. Come mai? Genius loci? Coincidenza? Sulla compresenza proprio a Messina – una città piccola, che non era nè Roma, né Parigi, né Londra o New York – dei due rivali si è scritto di tutto, e in particolare che Nietzsche fosse venuto per incontrarlo o “rappacificarsi”: questa ipotesi per me non ha fondamento. I rapporti tra Wagner (e Cosima) con Nietzsche erano compromessi da anni. Non si parlavano. Non si scrivevano più. I biografi fanno risalire la rottura al novembre 1876, dopo un ultimo incontro a Sorrento. Non erano ancora arrivati gli scritti nietzschiani “Il caso Wagner” (1888) e “Contra Wagner” (1895), ma era già scesa troppa acqua sotto i ponti, sia da un punto di vista del conflitto delle idee, sia dei rapporti personali; il filosofo lamentava anche un'”offesa mortale” che Wagner gli aveva fatto, rivelando, forse a fin di bene, disturbi di cui l’amico soffriva. Ma la separazione era essenzialmente filosofica e politica: Nietzsche era del tutto contrario alla improvvisa rivalutazione del Cristianesimo del “Parsifal” il cui autore si era “accasciato ai piedi della croce”. E disapprovava la retorica pangermanista e antisemita – Nietzsche non lo era – di cui casa Wagner era diventato centro d’irradiazione. Da parte sua Richard rimproverava a Friedrich di essersi allontanato dalla filosofia di Schopenhauer che rimaneva la sua stella polare. Un mix di personale e di pensiero separò per sempre i due amici. E allora ? Io ho una mia sommessa spiegazione. Vi inquieterà, forse. La “sincronicità” è un fenomeno “reale”, studiato, anche se non con conclusioni definitive. Secondo Arthur Schopenhauer – Maestro di ambedue – “casuale” è un termine che rinvia a un incontro nel tempo “di elementi non collegati causalmente. Non vi è nulla però di assolutamente casuale, e anche ciò che sembra massimamente tale non è altro se non qualcosa di necessario, che si realizza in modo attenuato. Delle cause determinate – scrive il filosofo – per quanto lontane nella catena causale, hanno già da lungo tempo stabilito necessariamente che esso doveva verificarsi proprio ora, e contemporaneamente a quell’altra cosa. Ogni avvenimento cioè è un termine particolare di una catena di cause degli effetti, procedente nella direzione del tempo”. ( A.Schopenhauer “Speculazione trascendente sull’apparente disegno intenzionale nel destino dell’individuo”, in “Parerga e paralipomena”, a cura di G.Colli, Adelphi). La teoria della sincronicità fu approfondita da Carlo Gustav Jung, anche con “scoperte” e casistiche di cui il più noto è l'”episodio dello scarabeo” raccontato dallo stesso Jung: il famoso psicoanalista aveva in terapia una donna che gli stava raccontando un sogno, nel quale riceveva in dono uno scarabeo d’oro. Durante la seduta, egli avvertì un rumore alle sue spalle, sulla finestra: era uno scarabeo, che cercava di entrare allo scopo di aiutare la paziente a superare gli ostacoli che le si frapponevano nella terapia. Secondo Jung gli “eventi sincronici si basano sulla simultaneità di due diversi stati mentali”. La sincronicità sarebbe il “senso speciale di coincidenza temporale di due o più eventi senza nesso di causalità tra di loro e con lo stesso o simile significato… Voglio dire per sincronicità le coincidenze, che non sono infrequenti, di stati soggettivi e fatti oggettivi che non si possono spiegare causalmente, almeno con le nostre risorse attuali”. Ci ha qualcosa a che fare anche quel fenomeno capitato a tutti del “de javu”. Jung, padre della psicologia analitica, approfondì le “coincidenze significative” in sodalizio con Wolfgang Ernst Pauli, fisico austriaco, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, premio Nobel nel 1945. Fermiamoci qui, anche per limiti di materia e di competenza (mia). Ma attenzione, parliamo di due scienziati di fama mondiale: può bastare sapere che la “sincronicità” può avere una “spiegazione”, oggi non ancora compiuta razionalmente. Essa può darci una risposta – non causalmente spiegabile –
del perché a Messina Wagner e Nietzche – culturalmente e psichicamente così uniti e divisi, comunque legatissimi da amicizia e inimicizia – siano capitati insieme, fino a sfiorarsi, in uno spazio fisico e temporale così ristretto. Giorni che per il filosofo furono tutt’altro che asettici o di riposo: lo testimoniano “Gli Idilli di Messina”, unica sua opera poetica, al di fuori di quelle strettamente filosofiche, che compose ( per alcuni ultimò) in riva allo Stretto. Periodo quindi breve ma fecondo. La mia è una decifrazione, non la “spiegazione”, di un interrogativo mai sciolto. Un’ipotesi, ecco. Ha peraltro scritto Nietzsche, certo ispirato da quell’amicizia “stellare” tra “nemici” un tempo amici: “Eravamo amici e ci siamo diventati estranei. Ma è giusto così e non vogliamo dissimularci e mettere in ombra questo come se dovessimo vergognarcene. Noi siamo due navi, ognuna delle quali ha la sua meta e la sua rotta; possiamo benissimo incrociarci e celebrare una festa tra noi – come abbiamo fatto – allora i due bravi vascelli se ne stavano così placidamente all’àncora in uno stesso porto e sotto uno stesso sole che avevano tutta l’aria di essere già alla meta, una meta che era stata la stessa per tutti e due. Ma proprio allora l’onnipossente violenza del nostro compito ci spinse di nuovo l’uno lontano dall’altro, in diversi mari e zone di sole e forse non ci rivedremo mai — forse potrà darsi che ci si veda, ma senza riconoscersi: i diversi mari e i soli ci hanno mutati. Che ci dovessimo diventare estranei è la legge incombente su di noi: ma appunto per questo dobbiamo ispirarci una maggiore venerazione! Appunto per questo il pensiero della nostra trascorsa amicizia deve diventarci più sacro! Esiste verosimilmente un’immensa invisibile curva e orbita siderale, in cui le nostre diverse vie e mete potrebbero essere intese quali esigui tratti di strada, innalziamoci a questo pensiero! Ma la nostra vita è troppo breve, troppo scarsa la nostra facoltà visiva per poter essere qualcosa di più che amici nel senso di quell’elevata possibilità — E così vogliamo credere alla nostra amicizia stellare, anche se dovessimo essere terrestri nemici l’un l’altro” (F. Nietzsche, La gaia scienza, trad. it. di F. Masini, Adelphi). Parole da irraggiungibili vette. Ricordo solo che “La Gaia scienza” venne scritta nello stesso anno in cui Nietzsche fu a Messina. L’opera ancor oggi è pubblicata da Adelphi insieme agli “Idilli di Messina”.
Andiamo avanti. Comprendo che avendo perso le radici si finisca per perdere anche l’orgoglio di sé. Lo testimonia un’altra questione artistica, assolutamente metastorica, che ha come suo centro di gravità la nostra città. Non credo interessi al Palazzo. La faccio breve: è proprio la tragedia “La Sposa di Messina, o I Fratelli nemici” di Friedrich Schiller – me ne sono occupato: manco a dirlo, ignorati da noi opera e autore – che Wagner e Nietzsche raggiungono il medesimo punto di vista sulla contaminazione tra dramma ed epica. Il coro reintrodotto da Schiller in questo lavoro fa concludere il compositore e al filosofo nello stesso modo: il coro è la protezione del tragico dalla “moda” corruttiva, dalla “piattezza del romanzo borghese drammatizzato”. Wagner, commentando “Die Braut von Messina” nel suo “Opera e Dramma” difende” Schiller dandogli la patente di anti-naturalista che vuole tutelare il tragico greco, pur con i limiti di un’arte separata dalla vita.E scrive: “Mai si è avuta una così intenzionale creazione di un punto di vista come nella Sposa di Messina” con la quale Schiller diede un “impulso alla forma artistica pura, antica”. Questione che, sempre a commento dell’opera schilleriana, con la medesima finalità, pone Nietzsche in “Nascita della tragedia”: “L’introduzione del coro è [in Schiller], il passo decisivo con cui è dichiarata apertamente e lealmente la guerra a ogni naturalismo in arte. In tale modo di considerare, mi sembra è quello per cui la nostra epoca che si crede superiore, usa lo sprezzante epiteto di ‘pseudoidealismo’. Io invece temo che siamo arrivati, con la nostra odierna venerazione del naturale e del reale, al polo opposto di ogni idealismo, cioè nel paese dei musei di figure di cera. Anche in essi c’è un’arte, come in certi romanzi di moda oggi…Certo è un terreno ‘ideale’ quello, secondo la giusta idea di Schiller, suole muoversi il coro greco dei satiri, il coro della tragedia originaria; è un terreno molto al di sopra del sentiero reale dei mortali. Il Greco – scrive ancora Nietzsche- s’è fabbricato per questo coro le impalcature aeree di un finto stato di natura e vi ha portato sopra finti esseri naturali. La tragedia si è sviluppata su questo fondamento e certo già per questo è stata con dal principio dispensata da una penosa riproduzione della realtà” (F. Nietzsche,”La Nascita della tragedia”, Adelphi). Si veda in proposito il saggio di Pietro Montani “Arte e verità dall’antichità alla filosofia contemporanea” (Laterza). Messina è quindi il luogo metastorico in cui si consuma anche questa alta disputa culturale che vede protagonisti tre geni tedeschi: Schiller, Nietzsche e Wagner. Alta. Come lo fu e deve tornare questa nostra città, rialzandosi dalla rivoluzione dal basso. Mai così in basso.