L’IGNOTO MARINAIO – QUELLE POLTRONCINE SPIAGGIATE TRA I RIFIUTI E LE INIZIATIVE PER IL CINEMA IN CITTÀ: ACCORINTI E SOCI NON HANNO IDEA.
L’IGNOTO MARINAIO
QUELLE POLTRONCINE SPIAGGIATE TRA I RIFIUTI E LE INIZIATIVE PER IL CINEMA IN CITTÀ: ACCORINTI E SOCI NON HANNO IDEA.
È diventato un film il caso del cinema Mexico di Milano. In positivo. In un passato lontano era una sala a luci rosse peraltro in una zona – via Savona – che era considerata, no flying, da evitare. Adesso è una delle strade di tendenza del quadrilatero meneghino della Moda, a due passi dalla location della Settimana del Design e dal Mudec, il Museo delle Culture. Il Mexico aveva la fama di luogo per guardoni o giù di lì. Da alcuni anni il “miracolo”: si è trasformato in un laboratorio di cultura cinefila, dove trovano ospitalità registi indipendenti e pellicole d’autore. Roba seria, chicche per intenditori. Non solo. Ma soprattutto il Mexico è un caso, più unico che raro: è chi lo gestisce che decide cosa proiettare sul suo schermo, in dissenso col “sistema” che impone alle sale cosa fare vedere agli spettatori. Conosco il Mexico, ci sono stato l’anno scorso: ho visto THE ASSASSIN, un film di Hou Hsiao-hsien. Un meraviglioso wuxiapian, premiato nel 2015 a Cannes con il premio per la migliore regia. Eppure emarginato dai circuiti cinematografici maggioritari. Un paradosso ben noto a chi ama il cinema. Circuiti che sono combattuti dalla gestione autarchica di un eroe solitario. Si chiama Antonio Sancassani. I fatti gli stanno dando ragione. Non se la passa male e “Mexico, un cinema alla riscossa!”, il documentario di Antonio Rho, ne sta facendo un modello controcorrente: un po’ conservatore e un po’ alternativo. Un mix di tradizione e di gusto radical-chic. Certo fa riflettere, sulla crisi del cinema, stavolta visto dalla sala. I media nazionali si sono impadroniti del caso per capire la protesta con stile di Sancassani: contro i listini bloccati dei film, i produttori-distributori, la pappa pronta dei menù. E così lui, che è pure il proprietario del locale, proietta ciò che gli piace. Puoi anche telefonargli e lui ti mette su schermo il tuo corto, film o dvd che sia. Un ribelle che può permettersi questa rottura “d’essai” nei contenuti e anche nello stile. Un Don Chisciotte nella Mancia delle multisale.
Pensavo a questo “caso” che indica vie innovative anche per le amministrazioni pubbliche che vogliono batterle, dinanzi alle immagini di quelle poltroncine rosse trovate abbandonate sulla spiaggia di Maregrosso. Si dice siano del Capitol, “un cìnima” noto come spazio di film porno. Che proiettava 12 ore su 12, da mattina a sera: ne deduco che gli affari non andassero male. C’erano messinesi che lo sceglievano. Anticonformisti, libertari, amatori dell’hard, voyeur, ragazzotti. In compagnia di perbenisti e bigotti che lì erano liberi di godere della propria ora d’aria. Messina non sfugge alla regola di vizi privati e pubbliche virtù, per dirla col film-scandalo di Miklós Jancsó. Non era sempre stato così il Capitol: negli anni precedenti proiettava pellicole “normali” per gente normale. Inclusi papà e mamme con bambini. Poi, con la crisi delle sale, la “svolta hard”. E, con internet, ha mollato. Stop. Chiuso. Devo dire che quei “posti” gettati sul litorale, tra rifiuti di ogni genere, mi hanno stretto il cuore. Un’immagine di grande tristezza che fotografa il declino di una città. Uno scatto altamente simbolico. Che testimonia, intanto, che la Messina di Accorinti non si schioda, neppure in finale, dallo stemma di famiglia che l’ha accompagnata in questi quattro anni: la spazzatura. Sempre. Ovunque. Comunque. Una maledizione. E suscita commiserazione – lo sdegno si è esaurito – l’ennesima “grida” dell’Assessore all’Ambiente, Ialacqua mi pare si chiami, che convoca, scrive, ordina, si agita. In un’atmosfera di caos crescente. Senza pesare. Senza incidere. In nulla. Con la fatuità tipica dei Renato boys. Ma non è questo di cui vi volevo parlare in questa occasione. Le sedie di un cinema spiaggiate come pesci morti sono l’ennesimo segno di decadenza civile. E ci riporta anche al congedo della cultura dalla città. Anzi alla tesi che Accorinti è figlio di un errore della cultura messinese. La quale, espressione di una borghesia in crisi, non ha saputo fare altro che esprimere un prodotto rabbioso. Ed esotico. Estraneo a se stessa. Un governo locale di “contras” per punire la classe politica. E, invece, si è punita. Autoflagellata. Con un sindaco, come si è visto, per nulla migliore dei predecessori: più incapace, meno competente. Non in grado di costruire alcunché. È anche il caso del cinema: che fa l’amministrazione tibetana ? Cinema significa cultura. E citavo il “caso Mexico” per aprire un minimo di discussione in questa morta gora. E anche qualche fenditura nella testa degli attuali occupanti del Palazzo. Il Comune potrebbe fare tante cose. Pure piccole. Ma in grado di dare un apporto per rianimare, rimettere in circolo il cuore della città, come ama dire l’amico Pietro Grioli.
È così difficile stipulare un protocollo tra Comune ed esercenti le sale della città per la promozione del cinema in città, per favorirne l’accesso, per avvicinare la generazione “internettiana” dei nostri figli e nipoti alla Quarta Arte ? E dare la possibilità a tutti di frequentare aree di relax e crescita civile, in una città che offre poco? E pensare a un assessorato che si fa coordinatore di visioni di qualità, rassegne retrospettive, programmi di proiezioni estive, film per ragazzi. E incontri con registi, attori, critici ed esperti di cinema. È così arduo pensare a un festival per giovani autori, magari di cortometraggi o documentari. In Italia lo fanno tanti Comuni. Devo citare per forza il festival per ragazzi di Giffoni diventato uno dei primi al mondo ? Basta il Salina Doc Fest ? È impossibile dare una vita a una Carta – anche con una minima partecipazione finanziaria dell’Amministrazione – che dia diritto ai giovani il diritto di uno sconto permanente ai nostri giovani ? È fuori dal mondo ragionare su un decentramento di alcune iniziative nelle periferie, nei villaggi abbandonati a se stessi ? C’è bisogno di aggiungere il solito refrain sulla prevenzione del disagio giovanile ? Dell’impiego costruttivo del tempo libero ?
Non occorrono cifre stratosferiche per pensare al nuovo. Ci sarebbe pure “Taormina Arte” della cui gestione fa parte pure Accorinti. Inesistente anche in questo ruolo. Ci vogliono idee e passione. E nelle teste d’uovo della “rivoluzione bassotta” non ce ne sono.





