L’Ignoto Marinaio – CARAVAGGIO A MESSINA: SI FA RICORDARE DA SÈ, FOSSE PER LORO…(Ha fatto bene il Museo a non mandare le sue tele al G7, si scomodino loro)

CARAVAGGIO A MESSINA: SI FA RICORDARE DA SÈ, FOSSE PER LORO…(Ha fatto bene il Museo a non mandare le sue tele al G7, si scomodino loro)
Il Caravaggio, alias Michelangelo Merisi (1571-1610), è di tendenza. Se ne fa in questi giorni un gran parlare. Il motivo è che si è pensato di trasferire i suoi quadri, che abbiamo in Sicilia, a Taormina per mostrarli ai Grandi del G7. Un atto di servaggio più che di omaggio. Un agitarsi pacchiano. E di scarsa dignità. Ha fatto bene il Museo regionale a non concedere, (finora) le due tele che custodisce: “Resurrezione di Lazzaro” e “Adorazione dei Pastori”. E così gli altri musei dell’Isola. Mi auguro che l’assessore regionale ai BBCC, messinese, non faccia cambiare questa linea. Al posto delle opere “siciliane”, è stato fatto arrivare a Taormina, da Genova, l'”Ecce Homo”. E vabbè. Il fatto si commenta da sè. Io la penso come Fabio Granata, il migliore assessore ai Beni Culturali che abbiamo avuto: “Le grandi opere devono restare ferme nei siti dove sono custodite e occorre farla finita con proposte intrise di provincialismo”.
Perchè il Museo di Messina ha due quadri del milanese Caravaggio? Semplicemente perché il grande pittore venne nella Città dello Stretto. Qui visse un periodo corto, ma molto intenso, della sua vita tempestosissima. E del suo genio artistico. Prorompente. Di lui basti il giudizio dello storico dell’arte Andre’ Berne-Joffroy, conservatore per 30 anni del Museo d’arte moderna di Parigi, il quale, nel 1959, scrisse un corposo “Dossier Caravage. Psychologie des attributions et psychologie de l’art”. “Ciò che inizia con l’opera di Caravaggio – ha detto – è molto semplicemente la pittura moderna”. Il merito della rivalutazione del Merisi è tutto del benedetto Dossier. Che però non sembra interessare granché a Messina. Non si trova alcuna testimonianza del legame del pittore con la comunità locale. Non un monumento. Nemmeno il nome di una scuola, di una strada, di una piazza, di un giardino pubblico. Non ci sono progetti. Una mostra triennale internazionale con altre tele sparse per il mondo, per organizzare la quale avvalersi nomi significativi della critica e dell’arte? Una riedizione in riva allo Stretto della leggendaria esposizione del 1951 curata da Roberto Longhi a Milano, da ripetere in modo permanente? Guardo troppo in alto? O siamo abituati a guardare in basso? Va bene, cioè male. Resta il nulla presente. Per fortuna lui si fa ricordare da solo. Con i quadri, rimasti, tra altri fatti a Messina, che sono conosciuti in tutto il mondo. E nell’universo dell’arte. In Italia i luoghi che ospitano dipinti del Caravaggio si contano sulle dita di una mano. All’estero poco più. Siamo consapevoli della fortuna e dei tesori che ci ha lasciato? Che sono le opere. Ma anche il pezzo di biografia che ci appartiene. Anche quello è nostro. Si capisce? Non mi pare. Si sono susseguiti negli anni, a Palazzo Zanca, assessori su assessori, ma da nessuno è venuta una iniziativa stabile, per fare entrare Caravaggio nel pantheon dei messinesi. Se ci fosse un pantheon. Mai niente. E nulla, in particolare, dalla giunta Accorinti, dagli uomini-Cultura che ne hanno fatto parte. Quattro in quattro anni: nuovi-nuovi che profumano di fatua accademia. E dal sindaco che scriveva nel suo programma che avrebbe promosso “l’identità culturale e storica di Messina e la memoria dei luoghi”; e avrebbe organizzato “eventi artistici di richiamo internazionale da ospitare nel Museo Regionale”. Caravaggio, la cui fama è mondiale, non è una figura della nostra “memoria”? E non potrebbe animare un evento pensato come attrattore turistico d’eccellenza ? Macchè Triennale Caravaggiana. Di che parliamo? A me non meraviglia più tanta distanza tra parole e fatti. È la proprietà ontologica della finta rivoluzione dal basso. Torniamo al Caravaggio. Venne a Messina a fine anno 1608, andò via nell’estate successiva. Attaccabrighe, sedizioso, violento, invischiato in risse, ferimenti e in un omicidio, imprigionato più volte; dovette scappare da Roma a Malta, da qui a Siracusa e poi a Messina. Perché scelse Messina ? Per molti perché era centro urbano crocevia di traffici e affari dove avrebbe trovato, come in effetti fu, committenti per i suoi dipinti che costavano. E li trovò. Insieme a protezioni di peso come quella dell’Arcivescovo della città Bonaventura Secusio, che aveva grande influenza anche a Roma. Il che al Merisi interessava molto. Ma, spirito inquieto e sregolato, scappò anche da Messina alla volta di Palermo. Un uomo in fuga per tutta la sua breve esistenza, inseguito da una condanna capitale che gli sarà condonata dal Papa poco prima di morire, a Porto Ercole, in riva al mare. Una morte, paragonata da alcuni – azzardo estetico – a quella di Pier Paolo Pasolini. La morte: temuta ed esorcizzata, è la convitata di pietra di molti suoi dipinti, così crudi, veristi. Con decapitazioni brutali, teste mozzate, cadaveri “reali”, irrigiditi: un’auto-maledizione pittorica, dai colori cupi, oppressivi, foschi. Pennellate di paura che il martire presto potesse essere lui: che la sentenza potesse raggiungerlo ed essere eseguita. Scene in cui le opere messinesi si interpongono con immagini di vita. Una vita che nasce: l’Adorazione dei Pastori, composta nel 1609, commissionatagli dal Senato messinese, per il compenso di mille scudi. Una somma rilevante. L’intento era un dono ai Cappuccini: una pala d’altare per l’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria della Concezione retta dai padri. La chiesa sorgeva in prossimità del quartiere di San Leone, su un poggio in contrada Versa, annessa al Convento dei Cappuccini, è andata perduta col terremoto del 1908 (Lanuzza). È una Natività povera e umanissima. E poi c’è la vita che ritorna alla vita: La Resurrezione di Lazzaro, eseguita nello stesso anno. Fu commissionata da un ricco mercante genovese che viveva a Messina – molto prospera e attiva, al contrario di adesso – Giovanni Battista de’ Lazzari: il personaggio evangelico raffigurato è un palese omaggio al committente. Il quale la ordinó per darla in dono come pala per la Cappella della Chiesa dei Padri Crociferi detta anche dei Ministri degli Infermi. Nel quadro c’è anche l’autoritratto dell’autore sotto le mentite spoglie di uomo con le mani giunte dietro Cristo: è stato interpretato come stato d’animo del Merisi che attendeva la grazia papale. Prezzo: mille scudi anche stavolta. Era evidentemente il compenso che chiedeva, consapevole del suo valore sul “mercato”. Ma l’edificio religioso in cui fu collocata l’opera, qual era esattamente?
La chiesa era quella dei Santi Pietro e Paolo detta dei Pisani. Sorgeva in un piccolo slargo, in prossimità del porto. Si chiamava così perché fu costruita dalla “nazione pisana” messinese, cioè dai Pisani della città che si erano qui insediati, dopo che, alleati dei Normanni, avevano aiutato questi ultimi a riconquistare la città in mano agli Arabi (1060); una “colonia” numerosa: nell’edificio la comunità teneva le sue assemblee. Poi, allontanatosi i Pisani, la chiesa fu “adottata” dai Genovesi, anch’essi numerosi a Messina. Il che può spiegare perché il committente, Giovanni Battista dei Lazzari, che proveniva da Genova, aveva destinato il quadro del Caravaggio proprio a quella Chiesa. La quale, fu affidata ai Chierici Regolari Ministri degli Infermi di Camillo de Lellis, poi Santo.
I Camilliani, arrivati in città (1599) avevano aperto una loro chiesa intitolata alla “Regina Coeli” di fronte, che si rivelò presto piccola e così ebbero assegnata la Chiesa dei Pisani. E gli appellativi “crociferi” e “ministri degli infermi”, propri dei camilliani – definiti anche “padri del ben morire” – inviati dal fondatore con questa missione di assistenza: il che spiega il nome dell’edificio di culto. La costruzione, gravemente danneggiata dal terremoto del 1783, andò perduta con quello del 1908. Sorvolo sull’ipotesi, non provata, che pure è stata fatta: si sarebbero conosciuti in ragione del “Lazzaro”, l’autore e San Camillo che comunque a Messina venne di persona più volte a partire dal 1601. Ma non ci sono fonti che lo provino. Se il fatto fosse accaduto sarebbe rimasta qualche traccia nella storia locale.
Da notare, ancora, che secondo il giornalista Giuseppe Frangi, esperto d’arte, direttore di vita.it, La Resurrezione di Lazzaro sarebbe il quadro più bello al mondo. Un’iperbole. Ma testimonia l’interesse e l’ entusiasmo che il dipinto suscita. In tutta l’Isola vengono organizzati eventi che rievocano il periodo “siciliano” dell’artista. A Enna – ad esempio – al teatro Garibaldi, lo scorso mese è stato organizzato uno spettacolo multimediale su Caravaggio di Vittorio Sgarbi, a cura del Comune e dell’Università Kore. Altri eventi recenti sono stati realizzati a Siracusa, Catania, Caltanissetta, Augusta, Caltagirone. Qui, dove visse e ha lasciti artistici importanti, zero.
Infine, rimando al libro di Andrea Camilleri “Il colore del sole” (Mondadori) che immagina, in chiave romanzesca, pur in una cornice storica, la vita e l’attività del pittore nel periodo in cui soggiornò in Sicilia. Dove sono state anche girate scene di film e fiction tv sul Caravaggio: potrebbero essere recuperate. Utilizzate. Che dite? Non abbiamo “materiali” sufficienti per costruire un Caravaggio Messinese? Per ora bussa a Palazzo Zanca inutilmente. Ma ci sarà un dopo: qualcuno gli aprirà