L’Ignoto Marinaio – IL VESCOVO CHE NON C’È, LA VOCE CHE MANCA ALLA CITTÀ
L’Ignoto Marinaio
IL VESCOVO CHE NON C’È, LA VOCE CHE MANCA ALLA CITTÀ
In una città senza guida politica, governata male, come prima, più di prima, c’è un’aggravante della quale pochi sembrano accorgersi e che nei tradizionali festeggiamenti dell’Assunta, dovrebbe pure balzare agli occhi. Molto più delle polemiche – giuste, giustissime – sulla Vara e sulla sua ancora discussa gestione, nell’era di Accorinti. Manca una presenza, una leadership morale, etica, culturale: quella del Vescovo della città. La quale, oltre alle sue disgrazie volute – come l’attuale primo cittadino – e quelle capitate o subìte – come la perdita progressiva di servizi, uffici, status – è figlia di un Dio minore. Per i credenti – io lo sono, da cattolico peccatore – c’è un filo che lega la città degli uomini alla “civitas Dei”. Anche per tanti che non credono, un filo tra sensibile e irrazionale c’è. Un filo spezzato dalle dimissioni improvvise dell’Arcivescovo. Le cui motivazioni reali sono appena coperte da quel velo di misericordiosa ipocrisia con cui la Chiesa prova a celare verità scomode da spiegare e forse anche da capire e da accettare: i motivi di salute si sottraggono, sia nel mondo laico come in quello ecclesiale, a qualunque valutazione di merito. Ma sono anche una via di fuga, talvolta caritatevole e opportuna, da responsabilità che non si ha la forza o la volontà di affrontare. Ne guadagnano purtroppo illazioni, supposizioni, pettegolezzi. I quali, certo, non hanno fatto bene né alla comunità civile né alla Diocesi le notizie uscite su ammanchi in Curia o anche indagini della Magistratura su relazioni pericolose tra uomini vicini a mons La Piana e Tirreno Ambiente, la società che gestisce la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, al centro di inchieste di mafia. Ma, i sospetti restano sospetti e non sono verità. Lo è, invece, quanto l’Arcivescovo disse il 24 settembre scorso, quando lasciò la carica.
“Mi sento logorato nel fisico e nello spirito – confessò mons. La Piana – voglio continuare a servire ma in modo più appropriato alle mie condizioni. Ho notato molti raccoglitori e spargitori di fango che annientano la dignità della persona. Intanto questa Chiesa è stata distrutta, così come la mia famiglia e chi mi sta vicino. Ho servito la città per come ho potuto ma non la lascio bene. Le vicende politiche non hanno certo aiutato questo popolo che è privo di identità e carattere”. Un addio intriso di amarezza, recriminazione e anche di rancore. A ragione o a torto, non è stato un bel saluto ai messinesi. È stato brutto. Molto. Anche se lo potremmo condividere, specie nel giudizio sulle “vicende politiche” locali. C’era, c’è, la necessità di voltare pagina. Invece, è trascorso quasi un anno da quando l’Arcivescovo ha lasciato, ma non è stato ancora sostituito. L’arcidiocesi di Messina, S.Lucia del Mela e Lipari non ha un vescovo titolare. Si sono succeduti due amministratori apostolici – una sorta di commissari a tempo che il Papa ha inviato, come l’ordinamento canonico prevede per questi casi – ma la città non ha ancora un Pastore per la guida del popolo cattolico e non solo. Un’anomalia che, di solito, si risolve massimo in sei mesi. Facile osservarlo: i messinesi sono mal trattati anche nelle cose dello spirito. E non solo. Il Vescovo non esercita esclusivamente un ministero ecclesiale. Ha da assolvere anche a una missione civile: orientare, indirizzare, denunciare, operare in direzione del bene comune. Del bene di tutti. A partire da ceti e categorie più fragili e in difficoltà. La voce della città e degli ultimi. Ora è muta. Difficile pensare non sia un segno ulteriore del declino di un popolo derubato di difese e orizzonti. Aspettiamo che quella voce ritorni. Presto. Forte, indiscutibile. Inclusiva. Autorevole: “…non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. E’ necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo”, scrive San Paolo nella Prima Lettera a Timoteo.
Messina ne ha necessità. Estrema. Per provare a uscire dalla pozzanghera nella quale si è cacciata. Con la “rivoluzione dal basso”. Finita in basso. Nella festività dell’Assunta – dentro le tradizioni del sempre più povero ferragosto di tante famiglie messinesi – almeno questo è possibile sperarlo?





